Novembre 2013
Capita spesso a chi opera all’interno delle associazioni sportive, soprattutto per coloro che ricoprono ruoli dirigenziali, di chiedersi di che tipo e su chi ricade la responsabilità delle operazione compiute.
Data la crescente attenzione che l’amministrazione fiscale nonché l’ordinamento giuridico statale rivolge alla complessa articolazione delle discipline sportive si manifesta, sempre più forte, l’esigenza di determinare i criteri di responsabilità dei soggetti che partecipano al contesto sportivo, agonistico o meno, per fatti lesivi e dannosi che vi si realizzano.
E’ bene fare una precisazione iniziale, l’ordinamento sportivo si pone in una posizione di autonomia rispetto all’ordinamento statale, ha proprie regole amministrative, tecniche e di giustizia distinte da quelle prescritte dall’ordinamento statale. Ne consegue quindi che l’illecito sportivo, inteso come violazione di una regola di gioco o gara dettata dai regolamenti federali, va tenuta distinta dall’illecito civile. In questa sede ci occuperemo principalmente di responsabilità derivante da illeciti civili.
Il problema della responsabilità civile per i fatti compiuti dall’associazione, si pone principalmente per i rappresentanti legali delle associazioni non riconosciute, in quanto per quelle riconosciute, con personalità giuridica, o per gli enti costituiti sotto forma di società sportiva dilettantistica, il problema si pone in misura minore, essendo la responsabilità limitata al patrimonio sociale.
Infatti per gli enti con personalità giuridica la L. 24 novembre 2003, n. 326 (legge di conversione del D.L. 30 settembre 2003, n. 269) al comma 1 dell’art. 7 ha stabilito che “le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società e enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica”. Se tale disposizione è di valido supporto per le società sportive, crea dall’altra parte ingiuste disparità di trattamento verso chi opera nell’ambito delle associazioni sportive non riconosciute.
Il responsabile di un associazione sportiva dilettantistica può incorrere principalmente in due tipi di responsabilità civile: la responsabilità extracontrattuale e contrattuale.
La responsabilità extracontrattuale è sostanzialmente la responsabilità che deriva da fatto illecito. Essa viene disciplinata dai principi generali dell’ordinamento. Occorre, infatti, far riferimento all’art. 2043 del c.c., che sancisce che “qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona al altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.
Perché si integri una responsabilità civile extracontrattuale è necessario che il soggetto (dirigente, organizzatore, tecnico) cagioni ad altro un danno ingiusto, durante lo svolgimento dell’attività sportiva, ponendo in essere una condotta dolosa o colposa.
Quindi il legale rappresentante dell’associazione risponde soltanto ed esclusivamente se l’azione è stata compiuta dolosamente o in modo colposo, cioè con negligenza, imperizia e imprudenza di leggi e di regolamenti e questa è allo stesso ascrivibile.
La responsabilità contrattuale è regolata invece dall’articolo 38 c.c. il quale sancisce che “per le obbligazioni assunte dalle persone che rappresentano l’associazione, i terzi possono far valere i loro diritti sul fondo comune. Delle obbligazioni stesse rispondono anche personalmente e solidalmente le persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione”.
I terzi dunque possono soddisfare le proprie pretese rivolgendosi sia al fondo comune che alle “persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione”, le quali rispondono, personalmente e illimitatamente. Tuttavia è opinione oramai consolidata, ritenere di natura aggiuntiva la responsabilità di chi ha agito per l’associazione, qualificandola come responsabilità concorrente per debito altrui (o fidejussione ex lege a favore del terzo creditore), con l’ovvia conseguenza che tale responsabilità può essere invocata solo se sussiste quella dell’ente.
Sussiste quindi la responsabilità solidale e personale del legale rappresentante, ossia il Presidente, solo se questi era a conoscenza delle operazioni poste in essere dall’associazione, altrimenti la responsabilità ricade sulle persone che si sono occupate in prima persona delle operazioni che hanno determinato l’inadempienza.
Quest’ultimo aspetto riveste importanza sostanziale, infatti la norma non parla di Presidente o di legale rappresentante. Se normalmente è logico ritenere che questi ultimi si occupino in prima persona della gestione dell’associazione o prendano decisioni per conto della società, non è così in tutti i casi.
Il presupposto della responsabilità personale, già sancito dall’art. 38 c.c., addossa la responsabilità non ai meri titolari di cariche rappresentative (tipicamente il presidente) ma i soggetti che abbiano effettivamente agito in nome e per conto dell’ente.
E’ quindi necessario analizzare e valutare concretamente all’interno di ogni singola associazione chi compie operazioni e prende decisioni necessarie per la continuità della vita associativa.
Solo qualora effettivamente il Presidente, legale rappresentante si occupi direttamente della gestione, ad esempio essendo l’unico con poteri di firma, nonché avendo le deleghe con i rapporti con la banca, gli si può attribuire la responsabilità delle operazioni poste in essere dall’associazione.
Per quel che riguarda gli altri soci, ancorché facenti parte del consiglio direttivo, se risultano estranei alle operazioni compiute non assumono alcuna responsabilità patrimoniale per le obbligazioni assunte dall’associazione.
Altro aspetto di notevole rilevanza, è la responsabilità che grava sul Presidente in relazione alle violazioni della normativa tributaria.
Infatti, non vi è dubbio che tra i terzi tutelati dall’art. 38 c.c. vi sia anche il fisco, come affermato espressamente dalla Cassazione Civile Sez. Tributaria, sent. 12.03.2007, n. 5746, includendo l’obbligazione tributaria tra quelle di cui alla norma del codice, stabilendo che “per i debiti di imposta, i quali non sorgono su base negoziale, ma ex lege al verificarsi del relativo presupposto, sia chiamato a rispondere solidalmente, tanto per le sanzioni pecuniarie quanto per il tributo non corrisposto, il soggetto che, in forza del ruolo rivestito, abbia diretto la complessiva gestione associativa nel periodo considerato, fermo restando che il richiamo all’effettività dell’ingerenza vale a circoscrivere la responsabilità personale del soggetto investito di cariche sociali, alle sole obbligazioni sorte nel periodo dell’investitura”.
Anche la sentenza della Corte di Cassazione n. 19486 del 10 settembre 2009 ribadisce che il rappresentante legale dell’associazione non riconosciuta non risponde all’amministrazione finanziaria delle obbligazioni assunte o dei carichi tributari relativi a periodi nei quali la carica di rappresentante legale era rivestita da altri soggetti in quanto la “responsabilità personale e solidale di colui che agisce in nome e per conto dell’associazione non riconosciuta non è collegata alla mera titolarità della rappresentanza dell’associazione, bensì all’attività negoziale concretamente svolta per conto di essa e risoltasi nella creazione di rapporti con i terzi”.
Le sentenze riportate confermano l’ambito e la portata dell’attribuzione della responsabilità per le operazioni compiute per conto dell’associazione solo verso coloro che effettivamente e concretamente agiscono in essa.
Si può quindi trarre la conclusione che la responsabilità del rappresentante legale in carica non è automatica e non sussiste se l’obbligazione o il carico tributario si riferiscono a periodi in cui altri soggetti erano rappresentanti legali, i quali pertanto saranno chiamati a rispondere delle obbligazioni assunte nei periodi d’imposta di loro competenza, oppure se egli prova di non essere stato a conoscenza delle operazioni poste in essere da altri soggetti che operavano all’interno dell’associazione.