Novembre 2014
Gli accertamenti fiscali nel mondo sportivo hanno anche un rovescio della medaglia. Non sono solo le Associazioni e Società sportive dilettantistiche ad essere nel mirino dell’amministrazione finanziaria, ma anche le ordinarie società commerciali che si sponsorizzano tramite le prime.
In buona sostanza a questi soggetti l’Agenzia delle Entrate contesta le prestazioni di sponsorizzazione e/o pubblicità erogate dagli enti sportivi no profit sia sotto il versante dell’effettiva sussistenza delle medesime, sia riguardo l’ammontare, quindi vengono messe in discussione economicità ed inerenza della spesa sostenuta, ma anche in riferimento alla qualificazione del costo che viene attratto alla sfera delle spese di rappresentanza, invece che a quelle di pubblicità.
Per ovviare all’addebito dell’inesistenza dell’operazione è necessario che le parti producano idonea documentazione al fine di provare la sussistenza della medesima. Stipulare un contratto ben fatto, che preveda, in primis, una terminologia corretta (attenzione a usare i termini sponsorizzazione piuttosto che pubblicità, o contributo invece che corrispettivo ad esempio!), la sottoscrizione dalle parti e magari (anche se non obbligatoria!) l’apposizione di data certa, la produzione di documentazione fotografica del materiale con cui ci si sponsorizza o ci si pubblicizza, l’utilizzo di metodi di pagamento tracciati (comunque obbligatori per tutte le associazioni e società sportive dilettantistiche, indipendentemente dall’opzione per il regime 398, per importi superiori a 516,46 Euro), il rispetto dei termini di pagamento, la revoca del contratto o la stipula di uno nuovo a revoca del precedente qualora le relative condizioni non possano essere rispettate, sono tutti mezzi che consentono di provare l’esistenza della prestazione.
L’amministrazione finanziaria può mettere in discussione l’antieconomicità della sponsorizzazione in vari modi. Magari confrontandola con la prestazione che la stessa società sportiva ha offerto ad altri enti commerciali pubblicizzati e disconoscendo la parte di costo eccedente quella stabilita per la prestazione pubblicitaria. In questo caso si può anzitutto fare notare come le prestazioni di sponsorizzazione e pubblicità siano effettivamente molto diverse. Da una parte vi è lo sponsor, che appone il proprio logo sull’abbigliamento e, di fatto, s’identifica con l’ente sportivo; dall’altra, con la prestazione pubblicitaria, la società commerciale appone il proprio nome su striscioni a bordo campo o locandine per cui il messaggio promozionale è molto più limitato che nel primo caso. E’ evidente che le prestazioni debbano avere un valore economico diverso.
L’antieconomicità della prestazione può essere chiamata in causa nel senso che l’Agenzia delle Entrate rileva una sproporzione tra il costo sostenuto dallo sponsor e il ritorno economico che la sponsorizzazione può garantire, cioè il potenziale incremento della propria attività.
A questo rilievo si può controbattere facendo notare che viene fatto ex post, cioè avendo a riferimento dati consuntivi (la spesa sostenuta e l’incremento (o non incremento) del fatturato: quando l’imprenditore pone in essere delle scelte non ne può mai conoscere l’esito in anticipo. Così si è espressa anche la commissione tributaria di Mantova con la sentenza del 30.4.2013 n. 114.
Alla contestazione di mancata inerenza del costo, ma in generale a qualsiasi altro tipo di contestazione, si deve controbattere richiamando il comma 8, dell’art. 90 della l. 289 del 2002 che testualmente cita: “Il corrispettivo in denaro o in natura in favore di società, associazioni sportive dilettantistiche e fondazioni costituite da istituzioni scolastiche, nonché di associazioni sportive scolastiche che svolgono attività nei settori giovanili riconosciuta dalle Federazioni sportive nazionali o da enti di promozione sportiva costituisce, per il soggetto erogante, fino ad un importo annuo complessivamente non superiore a 200.000 euro, spesa di pubblicità, volta alla promozione dell’immagine o dei prodotti del soggetto erogante mediante una specifica attività del beneficiario, ai sensi dell’articolo 74, comma 2, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917”.
La legge sopracitata individua cioè una presunzione legale assoluta di integrale deducibilità del costo di sponsorizzazione, assimilandolo, di fatto, ad un costo di pubblicità, sino alla soglia di duecentomila Euro annui. Presunzione legale assoluta significa che è la stessa legge a trarre delle conseguenze probatorie (la deducibilità) da un fatto noto (la sponsorizzazione) e che contro le stesse non è ammessa prova contraria. Molto spesso gli uffici non tengono in debito conto che la ratio della norma è quella di agevolare il finanziamento delle società sportive dilettantistiche in cambio di prestazioni che non hanno certamente lo stesso valore, poiché in assenza delle stesse, quasi certamente verrebbe messa in discussione la sussistenza della realtà sportiva. Quindi si ritiene sia del tutto fuori luogo comparare la prestazione pubblicitaria erogata da un’Asd con quella erogata da un ordinario soggetto commerciale, come spesso l’amministrazione finanziaria usa fare.
Si rileva, tuttavia, che la Commissione Tributaria di Mantova, con la sentenza n. 170/01/13 del 12.8.13, pur sostenendo ed appoggiando questa tesi, ha fatto anche notare (contraddicendo se stessa) che la presunzione introdotta dalla legge del 2002 può essere superata mediante la dimostrazione dell’antieconomicità e della sproporzione di quanto erogato in relazione al fatturato dell’azienda. In genere le spese di pubblicità rapportate al fatturato costituiscono una percentuale limitata, per cui anche questo tipo di dimostrazione può essere, al limite, fornita facilmente.
Lascia adito a una maggiore apertura la sentenza 423/1/2014 della CTP di Pisa che dice espressamente “(…) la legge pare prevedere in questi casi, una presunzione assoluta di inerenza del costo, che è quindi integralmente deducibile dagli sponsor, per il solo fatto che il contratto di pubblicità è stipulato non con una normale impresa di pubblicità, ma con una associazione sportiva dilettantistica”.
Un ulteriore addebito da parte dell’Ufficio è quello per cui la sponsorizzazione viene ricondotta fra le spese di rappresentanza, deducibili in misura percentuale a scaglioni in base ai proventi e ricavi conseguiti dalla gestione caratteristica dell’impresa risultanti dalla dichiarazione dei redditi relativa allo stesso periodo d’imposta, e non integralmente come le spese di pubblicità.
In questi casi si deve anzitutto ricondurre la sponsorizzazione nell’ambito specifico in cui viene effettuata, cioè il mondo sportivo dilettantistico, richiamando dunque, la l. 289/2002 che identifica espressamente tale costo come spesa di pubblicità. Inoltre la circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 34/E del 13.7.2009 afferma, fra l’altro, che le spese di rappresentanza si caratterizzano per la gratuità, ossia l’assenza di un corrispettivo che resti a carico del beneficiario, mentre le spese di pubblicità sono frutto di un contratto a prestazioni corrispettive, la cui causa va ricercata nell’obbligo della controparte di pubblicizzare/propagandare, a fronte di un corrispettivo, il marchio e/o il prodotto dell’impresa al fine di stimolarne la domanda. In sostanza le spese di pubblicità si generano all’interno di un rapporto contrattuale sinallagmatico tra le parti coinvolte, non recano alcuna utilità a terzi ed hanno la funzione di rendere conoscibile il marchio o il prodotto per aumentare le vendite. Quindi come affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza del 4 Luglio 2014 n. 15318 se l’Agenzia intende ascrivere la sponsorizzazione nell’alveo delle spese di rappresentanza deve esporre sul contenuto contrattuale, sugli obblighi e prestazioni reciproche delle due parti contraenti (la società erogante il corrispettivo ed il soggetto percipiente) e sulla sussistenza o meno di una diretta aspettativa di ritorno commerciale per la società contribuente, compiendo, dunque una rigorosa verifica, in fatto, della effettiva finalità delle spese contestate.