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Agosto 2016

Oggetto di numerosi contenziosi, le sponsorizzazioni sono da sempre considerate un tema giurisprudenziale caldo. Ma qual è lo “stato dell’arte” ai giorni nostri, quali sono gli ultimi orientamenti relativi a tale argomento? Tale analisi può esservi d’aiuto nel rapporto con i vostri sponsor e perché no, magari per trovarne di nuovi.

 In tema di pubblicità e sponsorizzazioni, si ricorda che il comma 8 dell’art. 90 della Legge 289/2002 stabilisce che “il corrispettivo in denaro o in natura in favore di società, associazioni sportive dilettantistiche e fondazioni costituite da istituzioni scolastiche, nonché di associazioni sportive scolastiche che svolgono attività nei settori giovanili riconosciuti dalle Federazioni sportive nazionali o da enti di promozione sportiva costituisce, per il soggetto erogante, fino ad un importo annuo complessivamente non superiore a 200.000 euro, spesa di pubblicità, volta alla promozione dell’immagine o dei prodotti del soggetto erogante mediante una specifica attività del beneficiario”.

Tale disposizione è stata chiaramente posta al fine di agevolare i rapporti commerciali tra i soggetti che operano nel settore dello sport dilettantistico e aziende sponsor pur in “parziale” assenza di un equilibrio sinallagmatico tra le prestazioni.

La Circolare 21/E del 2003 dell’Agenzia delle Entrate ha precisato che “la disposizione in esame introduce, in sostanza, ai fini delle imposte sui redditi, una presunzione assoluta circa la natura di tali spese, che vengono considerate – nel limite del predetto importo – comunque di pubblicità e, pertanto, integralmente deducibili per il soggetto erogante…”

Lo scopo della norma è di attribuire una connotazione fiscale indiscutibile alle somme fino a 200.000 euro, resta però immutato il potere, per gli organi di controllo di verificare l’effettiva valenza pubblicitaria degli importi eccedenti tale importo, quindi per tali some eccedenti verrà valutata la natura di tale spesa, l’inerenza, nonché la presunta anti-economicità.

Tale interpretazione è stata avvalorata dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 5720 depositata il 23 marzo 2016 nella quale ha dichiarato che le somme corrisposte per spese di pubblicità agli enti sportivi dilettantistici sono interamente deducibili nell’esercizio a nulla rilevando l’effettivo ritorno in termini di ricavi per da parte dell’impresa in quanto è la norma a prevedere tale qualificazione. La Corte rileva che in dottrina è stato chiarito che la previsione contenuta nell’art. 90 della Legge Finanziaria del 2003 rappresenta una “esimente”, in quanto specifica che le somme erogate da enti sportivi dilettantistici debbano considerarsi spese di pubblicità.

 In sintesi è la norma che prevede l’integrale deducibilità nell’anno e a tal fine occorre verificare che:

  • i corrispettivi erogati siano destinati alla promozione dell’immagine /prodotto dell’impresa (contratto scritto);
  • il soggetto ricevente sia una “compagine sportiva dilettantistica” che si impegni a promuovere il marchio/prodotto;
  • vi sia concretamente stata l’attività promozionale (prova fotografica).

Per le somme eccedenti i 200.000 euro, come definire l’anti-economicità e l’inerenza?

La Ctp di Forlì nella sentenza 224/1/2015 ha sancito che per contestare l’anti-economicità della spesa si deve tenere primariamente conto del fatto che l’esposizione di un cartellone pubblicitario in un impianto è una prestazione ripetuta in ambito di ciascun evento sportivo. Infatti, aspetto essenziale per decretare l’anti-economicità o meno di una prestazione pubblicitaria o di sponsorizzazione è la ripetitività delle prestazioni pubblicitarie nell’ambio di ciascun evento sportivo.

La Ctp coglie l’occasione inoltre per confermare i documenti necessari per provare l’effettiva esistenza della prestazione: il contratto pubblicitario, una dichiarazione della società sportiva attestante le attività pubblicità poste in essere durante la stagione sportiva, una copiosa documentazione fotografica dei cartelli posti all’interno dell’impianto sportivo, le locandine e altra documentazione riportante il logo della società ricorrente.

Un’altra Commissione Tributaria, la Ctp di Bologna, con le sentenze 111/10/2015 e 112/10/2015 sancisce due importanti chiarimenti:

 - innanzitutto che per stabilire se un’operazione sia antieconomica, si deve aver riferimento al fatturato aziendale e non all’utile dell’impresa committente;

-  in relazione alla prova della fittizietà delle operazioni poste in essere, la Commissione precisa che l’Agenzia delle Entrate, nel contestare l’inesistenza oggettiva di operazioni commerciali, deve fornire elementi semplicemente presuntivi in merito a tale fittizietà. È onere del contribuente dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, per mezzo di elementi probatori che non si limitino all’esibizione delle fatture relative e alla dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili e dei mezzi di pagamento utilizzati. Anche in questo caso i giudici hanno ritenuto utile la prova attraverso i contratti, le fotografie dei cartelloni, la fotografia del pulmino, i giornalini stampati, la foto della prima squadra riportante il marchio della società sponsor.

Tali aspetti fissati dalle sentenze tributarie possono essere utilizzati come utili linee guida nei rapporti con i clienti sponsor, per maggior sicurezza e tranquillità, sia vostra che loro.

Si resta a disposizione per eventuali chiarimenti.

 

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