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Giugno 2020

L’art. 46 del D.L. n. 18/2020, cosiddetto Decreto “Cura Italia”, ha previsto la sospensione dei licenziamenti collettivi previsti dagli articoli 4, 5 e 24 della Legge n. 223/1991, a decorrere dal 23 febbraio, e i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, a decorrere dal 18 marzo, per 60 giorni.

Tale disposizione è stata rafforzata dall’avvento dell’art. 80 del D.L. n. 34/2020, cosiddetto “Decreto Rilancio”, il quale ha prorogato il termine finale delle suddette sospensioni di ulteriori 3 mesi, portandole di fatto al 16 agosto compreso.

Tralasciando la diatriba costituzionalista, la quale contesta la possibilità che un atto normativo di carattere provvisorio avente forza di legge possa inficiare il valore di un articolo della Costituzione quale è l’art. 41, si rileva che l’effetto portato dai decreti legge non è la nullità dei licenziamenti, ma l’annullabilità degli stessi.

Infatti, un licenziamento per giustificato motivo oggettivo è ad oggi possibile.

L’unico soggetto in grado di decretare l’inefficacia del licenziamento, come riconosciuto dallo stesso Ministero del Lavoro con la nota prot. 5481 del 26 maggio 2020, è un giudice ma, nella prassi, solo un’esigua parte dei licenziamenti giunge innanzi al giudice.

La stragrande maggioranza dei licenziamenti che vengono contestati dai dipendenti vengono risolti in sedi stragiudiziali quali sono le sedi dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro piuttosto che le sedi dei vari sindacati presso i quali i lavoratori licenziati cercano tutela.

A rafforzare tale tesi è giunto l’INPS, il quale, tramite il Messaggio n. 2261 del 1 giugno 2020, ha precisato che i lavoratori licenziati per giustificato motivo oggettivo in spregio al divieto imposto dai decreti legge, possono accedere alla NASPI, trattamento mensile introdotto dal D.lgs. n. 22/2015 mirato a sostenere i lavoratori che perdono involontariamente il posto di lavoro.

L’erogazione del trattamento NASPI avverrà in tal caso con riserva di ripetizione, ossia, nel caso in cui il dipendente a seguito di contenzioso dovesse essere reintegrato o nel caso in cui il datore di lavoro revochi il licenziamento, il lavoratore dovrà restituire all’INPS quanto percepito a titolo di NASPI.

Vista la disarmante lentezza con la quale gli ammortizzatori sociali vengono liquidati ai dipendenti, che ha messo in luce l’inadeguatezza di alcune farraginose e datate procedure che l’Istituto Nazionale Previdenza Sociale ha previsto, che molti dipendenti, specialmente quelli che non hanno ancora percepito un euro da marzo, potrebbero trovare maggior ristoro tramite un meccanismo invece ampiamente rodato e snello come quello della NASPI, liberando i datori di lavoro da oneri ai quali non riescono e non possono fare fronte.

Lo Studio è a disposizione per ogni eventuale chiarimento.

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