Luglio 2017
Quando si vaglia la possibilità di avviare nuovi progetti imprenditoriali ci si può trovare di fronte ad un bivio: indebitarsi per sostenere l’investimento o attingere alle proprie disponibilità e autofinanziarsi.
Spesso sono questi i “paletti” che frenano o accelerano la decisione dell’investitore, a prescindere dal volume dell’affare o dalle dimensioni dell’operazione.
Esiste in realtà anche la terzia via, la cosiddetta soluzione mista, la quale prevede una parte di autofinanziamento e una parte di indebitamento.
Nella prima ipotesi legata ad un totale finanziamento dall’esterno, il costo dell’investimento che si intende effettuare deve essere ampiamente coperto da quanto l’attività ordinaria susseguente allo stesso produrrà.
Si tratta essenzialmente di una politica molto rischiosa, la quale deve poggiare su un progetto con basso rischio operativo, dal quale in futuro emergeranno con certezza risultati positivi.
Il punto di partenza quindi sul quale un’operazione come quella descritta deve poggiare è sicuramente una quantificazione del ROI (ritorno dell’investimento). Esso va preliminarmente conosciuto e scaturisce dalla redazione di un business plan preciso e fitto di considerazioni economico-finanziarie concordanti.
L’attività generatrice di reddito deve però consentire sia il rientro dall’esposizione debitoria ma anche coprire le spese correnti generate dall’ordinaria amministrazione.
Si innesca quindi un duplice filone da considerare, quello di carattere finanziario, legato all’investimento, e quello di carattere operativo, l’attività caratteristica futura.
Questa è un po’ la politica del Milan fresco di nuova proprietà cinese che ha acquisito dalla famiglia Berlusconi e sta facendo “faville” nel calciomercato estivo, assicurandosi ottimi giocatori a cifre “monstre” e ripartendo con un progetto nuovo. Investimenti massivi, completo finanziamento esterno, posizione debitoria stimata nel primo esercizio quasi pari al fatturato.
La nuova proprietà capeggiata da Li è impegnata in settori economici diversissimi nel suo paese d’origine e si è sempre insediata in ciascuno di essi con lo stesso approccio, il totale finanziamento di terzi.
Anche per il Milan è stato così e dopo il maxi bond emesso dal fondo Eliott la società è costretta nell’arco di una stagione, massimo due, a ritornare ai vertici del calcio italiano ed europeo per risanare gli impegni assuntisi e rilanciare l’attività economica che fa da traino a quella sportiva (si veda il piano economico strategico della Juventus di cinque anni fa dove ha portato il club).
Nel caso di un investimento susseguente a completo autofinanziamento invece, il profilo di rischio diminuisce sensibilmente, nel senso che la controindicazione maggiore è “bruciare” quello di cui già si dispone, che non è cosa da poco per carità, ma perlomeno mette al riparo da possibili future aggressioni da parte di terzi e alle soluzioni limite di cessione aziendale, dismissione di assets o accordi di ristrutturazione.
L’autofinanziamento è molto più sicuro in termini di ripercussioni future quindi consente investimenti di più lunga durata e consente di spalmare il costo opportunità dell’operazione su un periodo più ampio di tempo.
Va considerato ovviamente quanto pesa l’investimento sulle altre attività che caratterizzano l’investitore. L’autofinanziamento permette inoltre una maggior sopportazione della “barcollante” fase di avvio che caratterizza qualsiasi attività non consolidata. Il caso dell’autofinanziamento come forma per investire è riconducibile all’avvento del colosso della tecnologia Suning nell’Inter, avvenuto lo scorso anno.
Il gruppo, che partecipa anche al leader dell’e-commerce cinese Alibaba, fattura 55 miliardi di euro l’anno. Ha un approccio economico agli affari completamente diverso dai cugini milanisti. E’ partito vendendo climatizzatori ed aggiustando aspirapolveri in un garage e col tempo reinvestendo quanto generato ha assunto dimensioni faraoniche. L’investimento fatto nell’Inter completamente con finanze proprie è stato all’incirca pari a 600 milioni di euro, quindi pari al 1% circa del fatturato annuo del gruppo. Sarebbe come per un’azienda di piccole dimensioni che fattura 100.000 euro fare un investimento di 1.000. Nonostante i risultati sportivi nel primo anno molto negativi e spese folli per alcuni giocatori dal rendimento altalenante, il club ha tuttavia raggiunto il rispetto del fair play finanziario richiesto dall’Uefa e conta di rilanciarsi senza fretta nel panorama internazionale allegando al piano sportivo la crescita economica del gruppo. L’attività sportiva anche qui segue infatti di pari passo il progetto economico di Suning che mira a insediarsi nel mercato europeo della tecnologia, dove sta per rilevare una delle maggiori insegne del commercio.
Certo, basarsi esclusivamente su investimenti collegati alla propria capacità di autofinanziarsi potrebbe rappresentare forse per il 99% della popolazione un limite enorme, nel senso che fare esclusivamente con ciò che si ha, per la stragrande maggioranza, equivale a non fare. In economia si sa invece che fare è generalmente meglio di stare impassibili.
Ecco che quindi andiamo al cuore del problema, la bontà dell’investimento, la quale non va valutata e confusa col tipo di investimento da effettuare. La scelta finanziaria è e deve essere una conseguenza della valutazione del progetto in sé, nel calcio come nella piccola media impresa. E’ il modello del progetto a fare la differenza, e solo il tempo dirà quale e se sarà più redditizio.
Le forme di investimento nella piccola e media impresa potrebbero essere una leva importante per ampliare i paradigmi della propria attività caratteristica per molti imprenditori, specialmente in un momento di stallo economico come quello attuale. Acquisizioni o investimenti nel proprio o in altri settori di attività sono il modo migliore per ampliare e supportare il proprio business. Saperli valutare e rintracciare è però la vera questione su cui focalizzarsi, non tanto le forme finanziarie attraverso cui porre in essere i nuovi progetti.