Settembre 2016
Capita spesso che l’Agenzia delle Entrate, nello svolgimento dell’attività accertativa in capo alle associazioni e società sportive dilettantistiche, non si fermi ai meri controlli fiscal-contabili, ma rivolga la propria verifica all’accertamento dell’esistenza di un’effettiva struttura democratica, che preveda la concreta e attiva partecipazione di tutti gli associati alla vita associativa.
Il requisito della democraticità trova il suo fondamento nel comma 18 dell’articolo 90 della L. 289/2002 e nell’art. 148, comma 8, del Tuir. La mancanza di democraticità determina il disconoscimento della qualifica di “non commerciale” dell’ente e la sua riconversione in “impresa commerciale a fini di lucro”, con tutto ciò che ne consegue in termini di revoca del regime agevolato ex L. 398/91.
Riteniamo quindi utile una breve riflessione sui requisiti per valutare la democraticità e i vari contributi forniti dall’Amministrazione finanziaria, giurisprudenza e dottrina in merito.
L’Agenzia nel valutare la democraticità e la vitalità di un’asd pone l’attenzione a vari segnali d’allarme, uno tra tutti ad esempio, la durata del Consiglio Direttivo. La previsione circa la durata in carica di 3 anni, rispetto ad una nomina a tempo indeterminato, rappresenta un punto a favore della struttura democratica, poiché si ritiene possa ovviare la formazione di un “gruppo di comando”.
La Circolare 9/E/13 nel dare alcune linee guida operative agli accertatori asserisce che “elementi quali le modalità di convocazione e verbalizzazione delle assemblee dei soci costituiscono in via generale indici rilevanti al fine di desumere la reale natura associativa dell’ente e l’effettiva democraticità del sodalizio”. Tali indici avrebbero comunque bisogno di essere avvalorati da ulteriori elementi probatori che confermino la mancanza di democraticità nell’ente.
La Circolare specifica inoltre che “la clausola della democraticità prevista dall’art. 90 co. 18, lett. e L. 289/02 si intende violata, ad esempio, qualora si riscontrino nell’associazione elementi quali:
- la mancanza assoluta di forme di comunicazione idonee ad informare gli associati delle convocazioni assembleari e delle decisioni degli organi sociali;
- la presenza di diverse quote associative alle quali corrisponda una differente posizione del socio in termini di diritti e prerogative, rispetto alla reale fruizione e godimento di determinati beni e servizi;
- l’esercizio limitato del diritto di voto (dovuto alla presenza, di fatto, di categorie di associati privilegiati) in relazione alle deliberazioni inerenti l’approvazione del bilancio, le modifiche statutarie, l’approvazione dei regolamenti, la nomina di cariche direttive”.
La dottrina, dal canto suo, in relazione a tali aspetti si è espressa nel senso di ritenere l’irregolare convocazione dell’assemblea come fattore di annullamento ma non di nullità della deliberazione eventualmente adottata, rilevando che tale irregolarità risulta sanata da un’assemblea composta da tutti i membri di un’associazione i quali, in assenza di contestazioni riguardanti la convocazione stessa, concordino di deliberare. In questo senso se le decisioni sono state adottate collegialmente, il requisito della democraticità si può ritener rispettato nonostante i metodi di convocazione.
Anche la giurisprudenza si allinea all’interpretazione sostanziale data alle norme in materia dalla dottrina ritenendo che “la violazione del principio di democraticità presuppone un’indagine, di tipo qualitativo, molto più approfondita e accurata, non certo basata solo su semplici inizi o circostanze. La scarsa partecipazione numerica ai momenti assembleari e la convocazione verbale dell’assemblea non può essere utilizzata quale scorciatoia dall’Agenzia delle Entrate per disconoscere i benefici fiscali delle asd” (CTR di Aosta, sentenza n. 8 del 13/04/2015).
La C.T.P. di Torino con la sentenza 33/7/2014 evidenzia come la convocazione dell’assemblea mediante affissione in bacheca sottoscritta dai soci, non deve essere ritenuta di per sé elemento idoneo a qualificare una A.S.D. come non democratica.
La C.T.R. di Torino con la sentenza 347/31/2015 fornisce un’altra indicazione sancendo che “l’omessa indicazione dei soci partecipati un’assemblea non possa assurgere non solo a rango di prova, ma anche di mero indizio da cui poter desumere lo svolgimento di un’attività a scopo lucrativo.”
Chiare risultano le linee dettate dalla giurisprudenza nella valutazione dei vari elementi probatori che devono risultare non come circostanze occasionali, ma devono essere sostanziali e continuative rapportate all’interno delle dinamiche globali dell’associazione.
È bene tenere presente che il panorama dottrinario e giurisprudenziale è molto vago e astratto e provoca altalenanza di valutazioni nel rispetto dei requisiti. L’Agenzia giunge il più delle volte a valutazioni diametralmente opposte partendo da valutazioni simili.
In conclusione, quali insegnamenti possiamo trarre dall’analisi di quanto sopra riportato? Innanzitutto, in mancanza di una definizione normativa che uniformi i parametri da seguire per valutare la presenza o meno della democraticità, la prova del requisito della democraticità di un’associazione è un aspetto da non dare per scontato, occorre un’analisi continua e concreta, alla luce dei dettami forniti nei vari accertamenti, nelle sentenze tributarie e dalla dottrina, per eventualmente porre immediato rimedio ad aspetti che potrebbero portare dubbi sulla gestione democratica del sodalizio.